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C a t a l o g o
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Recensione |
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Tibet 1937. In una famiglia di contadini viene trovato in un bambino di due anni il Kundun, la reincarnazione umana del Buddha della Compassione, il successore del 13° Dalai Lama, morto nel 1933. Si segue la sua crescita (a due, cinque, dodici anni) e formazione fino all'investitura che avviene a diciotto anni. Intanto nel 1950 l'esercito della Repubblica Popolare Cinese invade il Tibet. Nel 1953 il 14° Dalai Lama cerca una collaborazione costruttiva col governo degli invasori ma, dopo un colloquio a Pechino col presidente Mao Tse Tung, rinuncia. Scoppiata una rivolta nel 1959, duramente repressa, il Dalai Lama ripara in India. Bizzarro film: storia tibetana, scritta da una buddista (la nordamericana Melissa Mathison, ex moglie di Harrison Ford), diretta da un cattolico e girata in un paese musulmano (Marocco). Tiepido successo di pubblico e accoglienze critiche spaccate in due. I più l'hanno trovata un'opera schizofrenica e stravagante, apprezzabile sul versante privato, irrisolta su quello storico-politico. I meno ne hanno lodato la coincidenza tra l'armonia del buddismo e l'equilibrio strutturale e linguistico del regista. “In Kundun tutto, dentro al caos pietrificato della storia, è immobilmente fluente. Anche il cinema” (B. Fornara). Un film manierista? Forse, ma di altissimo livello. |
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