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C a t a l o g o
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Recensione |
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Estate 1978, sull'altopiano delle Murge (Puglia). Vicino a un casale dismesso una botola copre una cavità dov'è incatenato il bambino Filippo. A scoprirlo per caso è Michele, dieci anni come lui, che abita in un piccolo borgo vicino. L'aiuta, lo nutre, se lo fa amico. Non capisce perché sia lì, ma intuisce che non deve parlarne con nessuno. Prima di scoprire l'atroce verità, deve fare i conti con i genitori, il mondo degli adulti, il tradimento, il sangue. E la paura. Dal romanzo (1998, più di 1 milione di copie vendute) di Niccolò Ammaniti che l'ha adattato con Francesca Marciano, G. Salvatores ha fatto il suo miglior film in assoluto: fiabesco e realistico, lineare e complesso; thriller di suspense e dramma di scavo psicologico col cine-occhio che coincide con quello degli infantili protagonisti; un paesaggio – un deserto di grano, giallo abbagliante nella calura – che è molto fisico, ma anche un luogo mentale; una struttura visiva e metaforica a tre livelli: aereo, terrestre e sotterraneo (utero e sepoltura); due mondi a confronto, incomprensibili l'uno per l'altro; un compatto sottotesto etico in cui la solidarietà, la pietas, la simpatia, la scoperta del diverso da sé sconfiggono la paura, le remore familiari, i condizionamenti sociali e impongono una scelta, anche a costo della vita. È, infatti, un racconto di formazione. David per la fotografia a Italo Petriccione. Musiche (quartetto d'archi) di Ezio Bosso. |
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Ragazzi - Centro di Documentazione Cinematografica sull'Infanzia e
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