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C a t a l o g o
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Recensione |
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Oskar Matzerah (Bennent), nato a Danzica nel 1924, decide all'età di tre anni di non crescere più. Da quel giorno non si separa più dal suo tamburo, porta al cimitero la madre e i suoi due presunti padri finché nel 1945 si risolve a diventare adulto, ma molto speciale. Tratto dal romanzo (1959) di Günter Grass, Nobel 1999 per la letteratura, è una sagra grottesca, visionaria e ribalda di vent'anni di storia tedesca, vissuta e vista “dal basso” all'insegna del rifiuto e del disgusto. È una trasposizione (fatta con Jean-Claude Carrière) grevemente illustrativa che soltanto a tratti restituisce la dimensione onirica, parodistica e barocca di Grass: almeno in 3 o 4 sequenze arriva al bersaglio. Il suo punto di forza è D. Bennent (1966), figlio dell'attore Heinz che compare nel film come ortolano: un piccolo dodicenne che risulta credibile a 3 come a 18 anni, genietto disinibito e asociale. Il suo sguardo mette in evidenza tutto quel che c'è di risibile, futile, atroce e infantile nel mondo degli adulti. Palma d'oro a Cannes ex aequo con Apocalypse Now e Oscar per il miglior film straniero, l'unico vinto, su 11 nomination, dal cinema tedesco. |
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